Il caso
Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Europea
A partire dal 2019, con una serie di riforme che va sotto il nome di Green Deal Europeo, l’Unione Europea si è posta degli obiettivi in materia di protezione ambientale molto ambiziosi, come la riduzione del 55% delle emissioni rispetto ai valori del 1990 entro il 2030, l’inversione del trend di degrado degli ecosistemi naturali, la realizzazione di un’economia circolare in cui viene preservato il valore delle materie prime. È anche per questo che la recente dichiarazione della Commissione Europea di ritirare un’importante iniziativa legislativa in materia ambientale ha creato molta confusione all’interno della maggioranza europea.
Attualmente sono in corso le trattative tra il Parlamento Europeo ed il Consiglio dell’Unione Europea sulla “Direttiva Green Claims”, una proposta legislativa presentata a marzo 2022 dalla Commissione che contiene varie misure per tutelare i consumatori riguardo alle pratiche commerciali del cosiddetto ecologismo di facciata (o greenwashing). Molte aziende, infatti, per convincere i consumatori del loro impegno ambientale, fanno affermazioni ingannevoli sulle presunte qualità eco-sostenibili dei loro prodotti senza fornire prove a sostegno. Secondo un’indagine eseguita nel 2020, la Commissione ha rilevato che il 53% delle affermazioni esaminate erano “vaghe, fuorvianti e infondate”, mentre un ulteriore 40% erano “non comprovate”. La proposta di direttiva ha quindi come obiettivo quello di limitare queste pratiche scorrette e dannose per i cittadini introducendo criteri che i produttori devono rispettare nelle dichiarazioni di sostenibilità ambientale dei prodotti.
È in questo contesto che mercoledì 18 giugno, la Commissione Europea ha ricevuto una lettera dal Partito Popolare Europeo (Ppe), partito di centro-destra, nella quale si legge che nel caso in cui la proposta della direttiva fosse stata approvata in questa fase di negoziati, il Ppe avrebbe votato a sfavore durante la seduta plenaria, rendendone di fatto impossibile l’approvazione. A questo si è aggiunto il ritiro dell’Italia. Secondo i detrattori della proposta, le misure previste impongono un carico burocratico eccessivo sulle imprese, nonostante nella proposta iniziale fossero previste esenzioni particolari per le micro, piccole e medie imprese. Come riportato da Euractiv nella newsletter “The Capitals” di giovedì 26 giugno, il capogruppo del PPE Manfred Weber ha dichiarato che questo improvviso cambio di rotta si è reso necessario per fermare la crescita dei partiti di estrema destra come i Conservatori e Riformisti Europei (Ecr), tra i maggiori oppositori alle politiche ambientali, e che “la gente deve capire che se non vota più per i Verdi o i Socialisti, le cose cambiano a livello europeo. Se questo non è il risultato di un'elezione, allora non è democratico”. A seguito delle forti critiche dei partiti centristi e socialisti, essi stessi parte della maggioranza, la Commissione ha dichiarato che la decisione di ritirare la proposta non fosse dovuta alla richiesta del PPE quanto piuttosto al fatto che gli emendamenti adottati fossero andati oltre gli scopi iniziali della direttiva stessa, e che avrebbe continuato con il processo legislativo solo se fossero rimaste le tutele per le microimprese.
Al momento non è ancora chiaro se la decisione della Commissione di ritirare la proposta di direttiva – cosa inusuale per le dinamiche legislative europee – proseguirà, grazie anche all’opposizione della Vicepresidente esecutiva per una transizione pulita, giusta e competitiva Teresa Ribera. Resta il fatto che si iniziano a notare le prime instabilità all’interno della maggioranza che sostiene la Commissione, a soli 7 mesi dall’insediamento.
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