La polemica
Focaccia prosciutto e mozzarella quasi 11 euro
C’è un’Italia che viaggia e una che paga, spesso senza avere alternative. Chiunque abbia imboccato un’autostrada almeno una volta, lo sa: la sosta in un’area di servizio non è solo una pausa, ma quasi un lusso. Non bastano i pedaggi salati e la benzina che oscilla sempre verso l’alto: anche un semplice panino diventa una piccola tassa da sfogo sui social. L’ultima polemica è esplosa su una focaccia con prosciutto crudo e mozzarella venduta a 10,90 euro al pezzo, immortalata da un automobilista indignato e diventata subito virale. Non è un caso isolato, ma il simbolo di un sistema che ogni estate finisce sotto accusa e che puntualmente vede i prezzi salire un po' di più.
Viaggiare in autostrada nel nostro Paese è sempre più caro
Le cifre, d’altronde, sono impietose. Secondo un’indagine di Altroconsumo, mangiare o bere in autostrada costa in media il 57 per cento in più rispetto a un bar cittadino. Un panino semplice arriva a 6,80 euro, con punte oltre gli otto; una bottiglia d’acqua può toccare i 3,18 euro, cinque volte tanto rispetto al supermercato; la Coca-Cola sale ulteriormente, con rincari che sfiorano il 500 per cento. Perfino il caffè, rito quotidiano degli italiani, diventa un piccolo lusso: quasi 1,50 euro al banco, contro una media urbana di 1,20. Non è finita. Sempre secondo Altroconsumo, il prezzo delle brioche nell'ultimo anno è cresciuto del 16% ed è più alto del 47% rispetto a quelli praticati fuori dalla rete autostradale. Ancora: per un gelato confezionato si può arrivare a spnedere il 145% in più rispetto ai supermercati.
Di fronte a questi numeri, la giustificazione delle società autostradali è sempre la stessa: costi di concessione, logistica complessa, personale da mantenere. Ma la realtà è che il consumatore non ha scelta, non ha possibilità. Dentro l’autostrada non c’è concorrenza, non c’è alternativa, non ci sono bar di quartiere o supermercati low cost: ci sono solo catene che, in regime di monopolio di fatto, fissano prezzi fuori da ogni logica di mercato, senza che nessuno possa intervenire, se non gli automobilisti indignati che magari dopo ore di traffico a rilento, devono sborsare oltre dieci euro per un panino, una bottiglietta d'acqua e un caffè. Solo patatine, cracker e cioccolate sarebbero leggermente diminuite di prezzo.
Il risultato è che la sosta, che dovrebbe rappresentare un momento di ristoro e di pausa dal viaggio, si trasforma in un atto di rassegnazione. “Ogni volta che mi fermo in autostrada, è una rapina”, scrive un utente su Reddit, raccogliendo centinaia di consensi. È uno sfogo che suona retorico, ma che traduce bene la sensazione diffusa: quella di essere clienti prigionieri, obbligati a pagare caro anche il bene più essenziale, come una bottiglietta d’acqua. Una famiglia di quattro persone per una mini sosta ristoratrice, arriva a spendere oltre 50 euro. Per non parlare se decide di sedersi al ristorante self service. In quel caso i prezzi lievitano notevolmente.
Il paradosso è evidente. L’autogrill nacque negli anni Sessanta come simbolo del viaggio moderno, accessibile, familiare. Oggi è diventato il teatro di una frattura: tra chi si rassegna e paga, e chi rinuncia, portandosi il pranzo al sacco come se stesse affrontando una gita fuori porta, oppure decidendo di uscire dal tracciato per fermarsi in un bar di paese lungo l'itinerario. In mezzo, resta l’amara certezza che in Italia viaggiare non è solo costoso per pedaggi e carburante: lo è anche per un semplice morso di focaccia. Continuare a girarsi dall’altra parte non basta più. Se davvero vogliamo un Paese che incentivi la mobilità e non la penalizzi, serve più trasparenza, più concorrenza e un controllo serio dei prezzi in autostrada, anche sulle piccole cose come un panino. Perché un viaggio non può trasformarsi ogni volta in un pedaggio parallelo, mascherato da sosta.
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