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La cronaca

Quando crollò il muro della diga di Montedoglio: la corsa in redazione e il giornale da rifare

Un anno alla guida della redazione: "Una realtà vivace e intraprendente. Vi svelo i suoi segreti"

06 Febbraio 2025, 13:34

Angelo Preziotti

Angelo Preziotti per un anno ha guidato la redazione del Corriere di Arezzo

Quella sera dell’ottobre 2010 ero andato a letto stanco ma tutto sommato soddisfatto. Il primo giorno nella redazione del Corriere di Arezzo, dove ero arrivato da Perugia quale nuovo responsabile, era stato come me l’aspettavo: importante, visto che era il primo approccio con i colleghi, con l’ambiente, con l’organizzazione del lavoro, e impegnativo. Anche il giro di nera della sera, quando a fine giornata si cerca di non “bucare” il fatto di cronaca appena accaduto, aveva riservato un paio di quelle notizie che ti costringono a un supplemento di lavoro in lotta con il tempo e gli orari di chiusura. Insomma, quando ho spento la luce in camera, pensavo di essermi meritato il sonno del giusto: e di sonno dovevo averne parecchio perché, appoggiato il cellulare ormai quasi scarico sul comodino, non l’ho messo sotto carica. Di lì a poco il Corriere di Arezzo ha battuto il colpo che mi avrebbe fatto capire l’antifona dei mesi successivi: c’era stato un altro fatto di nera, l’ennesimo della serata. I colleghi della cronaca erano riusciti a saperlo, ma non potendo mettersi in contatto con me se la erano sbrigata da soli avvertendo il centro stampa di Perugia per ritardare la chiusura del giornale. Fu con qualche imbarazzo che il giorno dopo appresi il tutto. Ancora non immaginavo che il Corriere di Arezzo mi avrebbe presto offerto l’occasione del riscatto, ci sarebbe stato solo l’imbarazzo della scelta.


Una foto di Angelo Preziotti all'inizio della carriera

Si, perchè è questa una delle cose che caratterizzano il lavoro al Corriere di Arezzo: l’estrema vivacità della città e il numero delle cose che vi succedono. Quelle previste, che derivano della intraprendenza e dallo spirito di iniziativa dei suoi cittadini, ma anche quelle impreviste, legate a fatti umani o eventi naturali. Insomma, per dirla in due parole, una città dove accadono tante cose, persino troppe in relazione alle sue dimensioni e alla popolazione.

Quando, dopo circa un anno, sono tornato alla sede centrale del gruppo Corriere a Perugia, parlando con colleghi che avevano lavorato ad Arezzo, mi hanno confermato la stessa impressione. Io, però, ho una mia teoria in proposito: ha riflessi parapsicologici, nondimeno ne sono del tutto convinto, ed è questa: riferendomi soprattutto ai fatti di cronaca, quelli che ti arrivano tra capo e collo all’improvviso nel momento meno adatto, quando magari dopo il normale lavoro di giornata sei vicino all’orario di chiusura da rispettare assolutamente, io ritengo che i giornalisti del Corriere di Arezzo, lungi dal temerli, questi fatti imprevisti li desiderino, abbiano il potere quasi medianico di chiamarli e di farli accadere. Tale è l’attaccamento al loro lavoro, tale l’orgoglio e la voglia di misurarsi con l’imprevisto e di domarlo, la soddisfazione del vedere “se ce la facciamo”, che la sfida non viene temuta, ma cercata, desiderata, quasi segretamente invocata. Là dove il responsabile di redazione, che deve garantire la qualità del giornale ma anche l’indispensabile rispetto degli orari di chiusura (altrimenti, se in rotativa si perde il turno di stampa, il giornale semplicemente non esce e allora addio a tutti gli sforzi) cerca un delicato equilibrio e volentieri rinuncia a un particolare in più in favore della sicurezza, il giornalista di Arezzo (da Marco Antonucci a Luca Serafini, da Mauro Bellachioma a Francesca Muzzi, da Sonia Fardelli a Romano Salvi, ad Andrea Niccolini e tutti gli altri, validissimi collaboratori compresi) ti lancia occhiate di fuoco al solo pensiero di tenersi qualcosa sulla penna.


Una storica foto del crollo nella diga di Montedoglio

Il culmine di quanto sto dicendo avvenne drammaticamente nella notte del 29 dicembre alla diga di Montedoglio, quando il cedimento di parte del muro laterale della diga provocò una gigantesca fuoriuscita di acqua che si riversò nel Tevere, causando una serie di spaventosi allagamenti nella zona circostante. Ad Anghiari e Sansepolcro si dovettero evacuare qualcosa come 450 persone, furono chiusi tutti i ponti da Sansepolcro a Città di Castello, nel timore di perdite di vite umane, per fortuna poi scongiurato. Il fatto si verificò intorno alle 21.30, ma la notizia si sparse naturalmente più tardi. Intorno a mezzanotte io ero in macchina alla volta di Perugia: avevamo da poco chiuso il giornale, già pregustavo il giorno libero che avrei avuto l’indomani e poi il 31, ultimo dell’anno, quando i quotidiani non lavorano: insomma niente sembrava frapporsi tra me e una fine d’anno di riposo e allegria. Il richiamo alla realtà arrivò attraverso la voce trafelata di Antonucci, che al telefono mi snocciolava la gravità della situazione e, di conseguenza, l’assoluta necessità di tornare in redazione, riaprire il giornale, dare la notizia.

Se a Montedoglio c’era un allagamento, per noi era uno tsunami. Iniziarono frenetiche operazioni di organizzazione del servizio da una parte ed estenuanti trattative con il centro stampa dall’altro. Da Perugia, a distanza di chilometri, era difficile rendersi conto della gravità della situazione e si premeva per far presto. Ma i giornalisti del Corriere avevano davanti agli occhi le file di evacuati, molti con pochi indumenti indosso, che sfilavano come ombre nella notte dando l’impressione di un esodo biblico, nel vorticoso impazzare dei mezzi dei vigili del fuoco, tra le sirene delle ambulanze e le luci lampeggianti delle forze dell’ordine. Con grande soddisfazione, devo dire che riuscimmo a salvare la situazione, a fornire cioè un servizio assai soddisfacente e a mandare il giornale in tempo, avendo ottenuto dopo mille tensioni di poter slittare nei tempi di chiusura. Fu una vera prova del fuoco, o meglio dell’acqua se perdonate il gioco di parole, ma fu l’ennesima dimostrazione della grande professionalità che distingue i colleghi di Arezzo. È questo il ricordo principale che ho della redazione: quello di una pattuglia di giornalisti decisi a dare battaglia, stimolati più che preoccupati dalla pesante concorrenza degli altri giornali, La Nazione in primis, la cui potente redazione era a poche decine di metri dalla nostra nella stessa strada del centro. Una vera corazzata, La Nazione, alla quale il nostro incrociatore riusciva però a dare spesso dei punti nella battaglia navale che ogni giorno ingaggiavamo dai nostri desk.

Sono rimasto ad Arezzo un anno ed è volato: non sono state tutte rose e fiori, in un ambiente di colleghi bravi, competitivi con se stessi e con gli altri, pronti a dare il massimo ma decisi anche ad aspettarselo da chi li conduce e rappresenta, non è stato facile mantenere la barra dritta. È stato insomma un anno impegnativo ma ricco di soddisfazioni umane e professionali, che ricordo con piacere oggi che il Corriere di Arezzo festeggia 40 anni e continua ad andare, spinto sempre da quei colleghi che non hanno mai mollato, nemmeno nei momenti più difficili. E non mi sarei aspettato niente di diverso. Cin cin, Corriere.

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