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I ricordi

Daniele Magrini: "La mia prima avventura da giornalista pendolare. Quando il sindaco Ducci mi spiegava Arezzo"

L'incontro con l'allora prefetto Vittorio Stelo, bello dal punto di vista umano e professionale

07 Febbraio 2025, 11:30

Daniele Magrini

Daniele Magrini, giornalista del Corriere, poi de La Nazione e direttore del Corriere di Firenze

Era iniziata da appena quattordici mesi la grande avventura del Corriere di Siena, il primo agognato quotidiano in cui ho lavorato, quando mi capitò un altro esordio: lavorare fuori dalla mia città. Ripensare oggi – dopo una carriera vissuta tutta con la valigia in mano – al tremore di quel primo giorno al Corriere di Arezzo, il 1° settembre del 1987, mi fa sorridere e mi emoziona. Sembrava partissi per il Vietnam: moglie con la figlioletta di tre anni in braccio, mamma col fazzoletto in mano, erano tutte schierate per salutare la mia partenza. Io pronunciai a malapena una frase rincuorante: “Ci si vede stasera”.


Una foto di diversi anni fa: Daniele Magrini con il collega Luca Serafini

Sì, perché ogni sera tornavo a casa, per alleviare la mia pena da distacco. E il viaggio era anche periglioso: auto fino alla stazione di Sinalunga, imbarco nel trenino Lfi, arrivo ad Arezzo. Poi, dalla stazione alla redazione, allora nella galleria di Corso Italia, era un attimo. Ma il turbamento del primo esodo professionale dal suolo natìo durò poco. Ebbi la fortuna di trovare una redazione caratterizzata da un’umanità non comune. Gente schietta e votata al lavoro come missione di raccontare il loro territorio, che per qualche mese fu anche il mio. Orgogliosi di farlo, tenaci nel volerlo fare bene.

Li ricordo tutti con affetto, a cominciare dal caposervizio Romano Salvi, professionista capace di darti gli input di giornata con chiara fermezza e innata gentilezza. E poi, Ivo Brocchi, Laura Pugliesi, Mauro Bellachioma, Luigi Alberti, Luca Serafini, Sonia Fardelli. Una bella squadra, con qualche collaboratore appassionato come Gabriele Malvestiti. E in più, il valore aggiunto della televisione della porta accanto: Teletruria, dove l’indimenticabile Gianfranco Duranti, mi fece anche l’onore di condurre qualche telegiornale, vista la mia esperienza televisiva. Compagno di banco di Luca, il mio compito era lavorare sulle pagine dei comprensori, impaginando sulla scorta di un enorme contenitore dove si trovavano gli UG. Da qui la denominazione di “Uggiario” del raccoglitore in questione, che conteneva i modelli di pagina da scegliere. Digitavi sul computer, per esempio, UG 916, e ti appariva sullo schermo lo scheletro della pagina da riempire con articoli, titolo, foto e quanto altro. Erano gli anni dell’avvento del desk, in cui la funzione di impaginazione veniva assorbita dal giornalista.

Ma Romano sapeva bene della mia propensione alla scrittura. E mi assegnò anche alcuni servizi di cronaca bianca. Ricordo ancora con grande rispetto il sindaco di allora, Aldo Ducci. Mi concesse una chilometrica intervista con la lucidità di chi sapeva di essere in vista degli ultimi tornanti del suo ventennale mandato – peraltro il secondo dopo quello degli anni Sessanta - alla guida della città. Gli chiesi di darmi una mano a comprendere meglio Arezzo e ricordo anche qualche bella chiacchierata a taccuino chiuso. Un altro incontro bello, umanamente e professionalmente, fu quello con l’allora Prefetto, Vittorio Stelo. Anche con lui, qualche articolo ma anche un dialogo che andava oltre la professione, e che si è poi consolidato nei suoi successivi anni senesi, rimanendo vivo e cordiale ancora oggi.


Ma fu intensa anche la frequentazione con i colleghi del giornale concorrente, La Nazione, in particolare con Sergio Rossi e con Aurelio Marcantoni, che ricordo con affetto. Perché ad Arezzo c’era questa bella abitudine, tra le due redazioni, di cercare di darsi buchi ogni giorno, ma senza astio, senza eccessi. Con una serenità di relazione per niente scontata – come ho poi potuto verificare - in altre latitudini. Nel mio ultimo pomeriggio al Corriere di Arezzo facemmo un brindisi, che non volli relegare ai bicchieri di carta. Scesi al bar di sotto e presi coppe di vetro, perché la circostanza fosse più solenne. C’era in me la felicità di rientrare a lavorare nella mia città, stavolta alla Nazione, ma anche la commozione dell’abbraccio con quei colleghi speciali.
A Siena, in realtà sono rimasto pochi anni. Poi ho ripreso la valigia per andare a fare il capo a Grosseto, in Umbria, a Pistoia, Prato.


Daniele Magrini con uno dei suoi libri

Lasciata La Nazione dopo 18 anni, sono stato direttore del Corriere di Firenze, del portale intoscana.it, dell’emittente Toscana Tv. Adesso, in pensione, mi dedico anche - nelle pause delle ore trascorse tra cane e nipotine – agli studi delle relazioni tra innovazione tecnologica e informazione, approdati anche ad alcuni libri, come l’ultimo appena uscito: “Il potere delle macchine sapienti: intelligenza artificiale, informazione, democrazia”. Ho sempre pensato che quella prima volta da giornalista in un’altra realtà sia stata per me fondamentale. Il tempo, intenso e sereno, trascorso al Corriere di Arezzo, mi fece comprendere che esisteva un mondo al di là del cerchio chiuso – troppo chiuso – delle storiche mura della mia città. E che valeva la pena di scoprirlo, anche da giornalista pendolare. Al Corriere di Arezzo, giunto al traguardo dei 40 anni, auguro altri decenni con lo stesso spirito che ho avuto lo fortuna di vivere con i colleghi della redazione in Corso Italia.

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