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Giustizia

Pfas killer sul lavoro: sentenza storica a Vicenza: operaio morto per le sostanze inquinanti. E' la prima volta in Italia

Julie Mary Marini

16 Maggio 2025, 09:43

Pasqualino Zenere

Nel riquadro l'operaio Pasqualino Zenere, morto nel 2014

Sentenza storica a Vicenza: per la prima volta i Pfas sono stati riconosciuti causa di morte. Il tribunale ha emesso una sentenza senza precedenti nella storia giudiziaria italiana e europea: la morte di un lavoratore è stata ufficialmente attribuita all’esposizione professionale ai Pfas, le sostanze perfluoroalchiliche al centro di uno dei più gravi casi di inquinamento ambientale del Paese. La vicenda riguarda Pasqualino Zenere, ex operaio dello stabilimento chimico Miteni di Trissino, nel Vicentino, deceduto a causa di un tumore contratto dopo anni di lavoro a stretto contatto con i Pfas. Il tribunale ha riconosciuto il nesso causale tra l’attività lavorativa e la patologia, configurando la morte come malattia professionale legata alla contaminazione da queste sostanze. La sentenza rappresenta un punto di svolta: mai prima d’ora un tribunale aveva certificato in modo così esplicito la responsabilità dei Pfas in un decesso, aprendo la strada a nuovi scenari sia dal punto di vista giudiziario sia sul fronte dei risarcimenti. Zenere ha lavorato dal 1979 al 1992 ed è deceduto nel 2014. 

Il processo, che vede imputati 15 ex dirigenti di Miteni, Icig e Mitsubishi Corporation, si concentra su reati gravi come avvelenamento delle acque, disastro ambientale e gestione non autorizzata di rifiuti. Secondo la procura, i manager avrebbero agito con dolo, consapevoli dei rischi legati ai Pfas e delle conseguenze sulla salute umana e sull’ambiente, ma avrebbero nascosto l’inquinamento per anni. Le indagini hanno evidenziato che già tra gli anni ’90 e i primi 2000, i vertici aziendali e il medico del lavoro erano a conoscenza delle elevate concentrazioni di Pfas nel sangue dei dipendenti e dei possibili effetti nocivi, tra cui l’aumento del colesterolo e il rischio di tumori. La sentenza del tribunale del lavoro ha disposto un risarcimento agli eredi dell’operaio deceduto, ma le richieste di indennizzo avanzate dalle parti civili sono molto più ampie. Solo i cittadini delle province di Vicenza, Padova e Verona colpite dalla contaminazione hanno chiesto circa 15,5 milioni di euro, mentre la somma totale delle richieste, includendo enti pubblici e aziende sanitarie, supera i 240 milioni di euro. Tra i soggetti che hanno avanzato richieste di risarcimento figurano il ministero dell’Ambiente (56 milioni di euro), la Regione Veneto (16 milioni), le aziende sanitarie locali, i gestori idrici e la Provincia di Vicenza. I lavoratori dell’ex Miteni hanno chiesto 100 mila euro ciascuno per un totale di 13 milioni. Uno studio epidemiologico dell’Università di Padova, citato in aula, ha rilevato negli ultimi 40 anni circa 4.000 morti in eccesso nell’area più colpita, dato potenzialmente correlato alla presenza di Pfas nel sangue dei residenti.

Alla vicenda giudiziaria si affianca la mobilitazione dei comitati locali, come le Mamme No Pfas, nate dopo i primi allarmi sanitari del 2017. Le attiviste chiedono non solo giustizia esemplare, ma anche la bonifica del sito Miteni e il bando definitivo dei Pfas. “Quello che è emerso da ogni udienza è che gli imputati sapevano benissimo quello che stavano facendo: tutta la documentazione va in questo senso”, ha dichiarato Michela Piccoli, una delle rappresentanti del comitato. La sentenza di Vicenza potrebbe avere un impatto significativo anche a livello europeo, dato che si tratta del primo caso in cui i Pfas vengono riconosciuti come causa diretta di morte sul lavoro. Nei prossimi giorni è attesa la discussione degli avvocati della difesa, mentre la comunità locale e nazionale resta in attesa di ulteriori sviluppi e di una giustizia che possa segnare una svolta anche nella gestione delle sostanze chimiche pericolose in Italia.

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