L'artista
Una foto di Mia Martini negli anni Settanta
Era una bambina dagli occhi scuri e profondi, che in casa respirava paura più che aria. Domenica Rita Adriana Bertè aveva undici anni quando imparò che le voci possono ferire quanto le mani. Suo padre, Giuseppe, era un uomo che amava a modo suo: con un sentimento violento, possessivo, che si traduceva in urla e colpi, in una tensione costante che piegava le spalle e serrava le labbra. La madre, Maria Salvina, lo aveva sposato a sedici anni, scoprendo quasi subito di aver commesso un errore senza ritorno. In quegli anni, lasciare un marito significava condannarsi, diventare oggetto di pettegolezzi feroci, vivere ai margini. Così, scelse di restare.
In quel clima, Mimì – così la chiamavano – imparò presto a cercare rifugio in un mondo che potesse appartenerle davvero. E quel mondo aveva suoni, non mura. Le note erano il suo riparo, la sua via di fuga, il primo passo verso una libertà che allora sembrava un sogno lontano. Negli anni Sessanta, con il coraggio di chi sa di avere una voce che non somiglia a nessun’altra, iniziò a farsi notare. Ma fu l’incontro con Alberigo Crocetta a darle un nuovo volto: Mia come l’attrice Mia Farrow, Martini come il simbolo italiano che brillava nel mondo. Era nata Mia Martini, e con lei un timbro inconfondibile, graffiante, capace di toccare corde che pochi riuscivano anche solo a sfiorare.
Festival di Sanremo 1989: Mia Martini in hotel dopo la kermesse
Gli anni Settanta le portarono successi e palcoscenici, ma anche l’inizio di una persecuzione silenziosa e spietata. Un impresario, al quale aveva rifiutato un contratto a vita, trovò il modo di vendicarsi: approfittò di un incidente in cui due giovani persero la vita per attribuirle un marchio infame, quello di porta sfortuna. Bastò poco perché il veleno si diffondesse: prima sussurri, poi sguardi storti, infine porte chiuse. I colleghi si facevano il segno della croce, i direttori di rete non la chiamavano più. Anche chi le era vicino iniziò a dubitare. In un mondo dove il non è vero ma ci credo vale quanto la verità, era come una condanna senza appello.
Mia Martini in uno scatto degli anni Ottanta
In mezzo a tutto questo, Mimì viveva i suoi amori con la stessa intensità con cui cantava. L’incontro con Ivano Fossati nel 1977 accese una fiamma che era insieme luce e tempesta. Si amarono, si fecero male, si ispirarono a vicenda. Lui, geloso della sua arte quanto degli uomini attorno a lei, non volle figli, chiedendole di scegliere tra l’amore e la musica. Lei scelse la musica, ma il prezzo fu una ferita profonda, un vuoto che non si sarebbe mai colmato del tutto. Non fu il solo amore importante, il cantautore francese Charles Aznavour la portò sul palco dell’Olympia di Parigi. Il loro rapporto era soprattutto professionale ma segnò profondamente la sua carriera internazionale. E Lino Capolicchio attore e regista, raccontò nella sua autobiografia di aver avuto una relazione con Mia, terminata perché non riuscì a decidere tra lei e la sua famiglia .
Ivano Fossati, il grande amore di Mia Martini
Il rapporto con Loredana, la sorella guerriera, fu una danza di avvicinamenti e fughe, di liti feroci e riconciliazioni improvvise. Per anni si persero, poi nel 1992, quando Loredana crollò sotto il peso di un matrimonio fallito, Mimì tornò accanto a lei. Da allora, nonostante le differenze di carattere e di idee, non si lasciarono più. Poco prima della fine, Mia dichiarò in televisione il suo amore per la sorella, parole che oggi brillano come un testamento affettivo.
Il ritorno a Sanremo nel 1989, con Almeno tu nell’universo, fu un atto di resurrezione. Sul palco, Mimì non cantava solo una canzone: si stava riprendendo la vita che le avevano strappato, sfidando la superstizione e i fantasmi del passato. La sua voce, più intensa che mai, diceva al mondo che nessuna menzogna poteva oscurare la verità del talento. Gli ultimi mesi furono una corsa contro il tempo. Un fibroma uterino la debilitava, ma lei rifiutava l’idea di fermarsi. Preparava una tournée, provava canzoni, continuava a credere che la musica fosse più importante della sua stessa salute. Il 12 maggio 1995, il silenzio cadde improvviso. Due giorni dopo, la trovarono nel letto, le cuffie sulle orecchie per ascoltare un brano che avrebbe dovuto cantare, la mano tesa verso il telefono. Ufficialmente un arresto cardiaco; per chi la conosceva, un addio troppo solitario per una donna che aveva sempre amato in mezzo alla gente.
Loredana Bertè premiata al Festival di Santemo del 2024
All’inizio, anche dopo la morte, il marchio di superstizione resistette: ci furono artisti che rifiutarono di partecipare a eventi in suo nome. Ma lentamente, come nebbia al sole, i pregiudizi si dissolsero, lasciando spazio a ciò che era sempre stato evidente: Mia Martini era una delle più grandi interpreti italiane di sempre. Oggi il suo nome è pronunciato con rispetto e tenerezza. “Almeno tu nell’universo”, “Minuetto”, “Piccolo uomo”, “Gli uomini non cambiano”, “La nevicata del ’56”, “Cu’ mme” con Roberto Murolo… ogni brano è un frammento della sua anima, una traccia di ciò che è stata e di ciò che ancora è. Come l’araba fenice che lei stessa incarnava, Mia Martini si è rialzata dalle ceneri delle maldicenze, delle delusioni e del dolore, per restare viva nell’eternità della musica. E forse, se oggi potessimo chiederle qualcosa, ci direbbe che la vita l’ha amata poco, ma la canzone l’ha amata abbastanza da salvarla.
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