Il caso
Gian Luigi De Rensis, avvocato di Alberto Stasi
Filorosso di nuovo concentrato sul delitto di Garlasco con una puntata ch stavolta non ha messo al centro solo le ricostruzioni, bensì le omissioni. O meglio: ciò che per anni è stato lasciato ai margini, rimosso, sepolto sotto il peso di una verità processuale mai davvero condivisa da tutti. A riportare di nuovo il caso sul tavolo mediatico è stata Manuela Moreno, che ha aperto puntando dritta su quella che ha definito l’impronta fantasma. Un profilo genetico isolato nel 2007, e poi scomparso nel nulla. Per il generale Luciano Garofano, ex Ris e consulente della difesa di Andrea Sempio, quell’impronta non è mai esistita. Non compare nei rilievi, non ha consistenza. Per l’avvocato Gian Luigi De Rensis, invece, difensore di Alberto Stasi, è reale. Ma la quantità di materiale biologico sarebbe talmente esigua da renderne oggi quasi impossibile un riscontro certo. Eppure, il solo fatto che se ne parli riapre un varco, una crepa nel castello accusatorio.
Ma è sull’impronta 33, attribuita in passato ad Andrea Sempio, che il dibattito si è fatto più intenso. La difesa di Alberto Stasi sostiene di avervi rilevato la presenza di sangue, sulla base di una recente relazione tecnica. Non un dettaglio: se fosse vero, saremmo davanti a una prova esplosiva. Ma si può davvero identificare il sangue da una fotografia? Garofano taglia corto: no, non è attendibile. Ma De Rensis incalza: quella tecnica, oggi, è usata eccome, e con buoni margini di attendibilità.
Una fase della puntata del programma Filorosso
E mentre gli esperti si confrontano tra certezze e controverse possibilità, la criminologa Flaminia Bolzan scava nei dettagli più oscuri del massacro. Secondo lei, Chiara Poggi non sarebbe stata colpita con un solo oggetto, ma con più strumenti contundenti. Ferite diverse, profondità diverse. E una lesione circolare, apparentemente inspiegabile, che potrebbe essere stata causata da un portavaso di metallo. Poi, lo sfogo. De Rensis, con voce rotta e rabbia fredda, ha affondato il colpo sulle negligenze investigative. Capelli mai repertati nel lavabo del bagno. Impronte di parenti della vittima sul dispenser del sapone. Tracce che dimostrerebbero una cosa semplice e terribile: chi ha ucciso non ha provato a cancellare il sangue.
Eppure, nonostante questi spiragli, nonostante i buchi, le omissioni, le domande senza risposta, la sentenza è rimasta lì, granitica. La Cassazione ha chiuso la porta su Alberto Stasi. Ma l’eco di quelle stanze, quella mattina d’estate, continua a rimbombare. In autunno si annunciano scosse. L’inchiesta potrebbe conoscere nuove battaglie, nuove perizie, nuovi scontri tra difesa e procura. Il caso Garlasco è tutt’altro che sepolto. E quella lanterna accesa da Filorosso ha mostrato che nel buio restano ancora troppe ombre.
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