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L'intervista

Egea Haffner, la bambina con la valigia: "Ricordo il profumo di mio padre. Uscì con la polizia con una sciarpa al collo che poi fu rivista indossata da un titino"

La foto, l'infanzia, la fuga e la vita ricostruita: "Mi riconosco nei civili delle guerre in Ucraina e Medio Oriente e capisco le sofferenze degli immigrati"

Giuseppe Silvestri

10 Febbraio 2025, 10:37

Egea Haffner

Egea Haffner con il presidente Mattarella e la famosa foto

Egea Haffner, oggi ha 83 anni. In una intervista al Corriere della Sera, ha ricordato il giorno in cui fu scattata la famosa foto, diventata il simbolo dell'esodo giuliano-dalmata. Ma ha parlato anche della sua vita, dalla tragedia delle foibe alla voglia di riscatto e solidarietà. "Ricordo bene l’attimo in cui mi venne scattata quella fotografia - ha spiegato EgeaAvevo indossato il vestito della domenica, mi avevano fatto i boccoli e zio Alfonso mi aveva consegnato la famosa valigetta con su scritto: 30.001. Pola, la mia città, contava 30mila abitanti. Zio Alfonso aveva già capito che saremmo andati via tutti da quel luogo".

Egea aveva solo quattro anni. La sua storia è stata poi narrata nel libro "La bambina con la valigia" di Gigliola Alvisi, dal quale è stato tratto un film, in programma stasera lunedì 10 febbraio su Rai 1. Il padre Kurt fu portato via dai titini quando lei aveva soltanto tre anni, da quel momento non lo vide più. "Conservo poche immagini - ha raccontato Egea al Corriere - Ricordo che durante la guerra correvamo insieme verso il rifugio. Lui mi prendeva sottobraccio e ho ben presente il suo profumo, l’acqua di colonia che usava. Il 4 maggio del ’45 la polizia di Tito arrivò a casa. Lui si mise una sciarpa e uscì. Rividero quella sciarpa giorni dopo, al collo di un titino. Mio padre, Kurt Haffner, aveva solo 26 anni quando venne ucciso".

La famiglia venne a conoscenza del suo destino nelle foibe tempo dopo. "Ci dissero delle foibe e del destino che aveva conosciuto papà. Non aveva nessuna colpa, non si interessava di politica, tantomeno era fascista. Ogni tanto lo chiamavano al comando per qualche traduzione perché sapeva il tedesco". Poi l'esodo. Anche Egea, come tutti gli altri italiani, lasciò Pola: "Mamma disse che dovevamo partire e io pensai a una gita. Ci siamo trasferite prima in Sardegna, poi a Bolzano". La nuova vita non fu semplice: "Non lo dicevo a nessuno, mi sembrava una vergogna. Mi accorgevo di essere diversa, notavo la differenza che c’era tra me e le mie compagne a scuola. Orfana di guerra e profuga. In seguito ho deciso di raccontare la mia storia e continuo a farlo nelle scuole e durante le celebrazioni. E poi anche tramite il libro e il film".

E proprio la visione della pellicola l'ha emozionata moltissimo: "Due settimane fa l'ho vista a Roma. Mi sono commossa e ho pianto dall’inizio alla fine. Ma non sono stata l’unica: con me anche due manager della Rai, muniti di fazzoletti". Tutti i giorni, nelle immagini e nei racconti che arrivano dall’Ucraina e da Gaza rivede la sua sofferenza nei volti di altri: "Sempre di civili senza colpa, ai quali viene tolto tutto. Mi rivedo nelle storie dei migranti, so cosa significa dover scappare. C’è chi vive condizioni peggiori rispetto a quella che è stata la nostra. Ma posso capire la sofferenza che si prova". A suo avviso non bisogna dimenticare le tragedie, ma nemmeno strumentalizzarle: "Per tanti anni la nostra storia è stata taciuta, invece è importante ricordarla". 

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