Il caso
Una fase del sopralluogo e nel riquadro Alessandro Venier
A volte l’orrore si nasconde nelle pieghe della quotidianità più anonima, serpeggiando silenzioso tra le facciate di una cittadina quieta come Gemona del Friuli, dove mai nessuno avrebbe immaginato di raccontare una vicenda tanto feroce. Eppure, proprio qui, il 25 luglio 2025, il sipario si è alzato su uno dei fatti di sangue più raccapriccianti che il Friuli ricordi.
La villetta a Gemona del Friuli (Foto Lapresse)
"Sono stata io e so che ciò ch ho fatto è mostruoso". Confessione diretta, tagliente, priva di attenuanti quella rilasciata da Lorena Venier, infermiera di 61 anni, davanti agli inquirenti, appena poche ore dopo che il macabro mosaico è andato componendosi tra le mani degli investigatori. A spingerla ad uccidere il figlio Alessandro, secondo le sue stesse parole e secondo il contorto gioco di legami domestici emerso dalle indagini, un amore ossessivo e disperato: quello verso la compagna dell'uomo, la 30enne Mailyn Castro Monsalvo, ora anch’ella in carcere con l’accusa di omicidio.
Non solo madre Lorena: Mailyn sarebbe stata "la figlia che non aveva mai avuto", un sentimento ricambiato e degenerato in funesta complicità. Entrambe le donne dovranno rispondere ora anche della premeditazione, aggravante che la Procura intende formalizzare. Ciò che è emerso nella villetta di località Tobaga smentisce ogni idea di follia improvvisa: Alessandro Venier, 35 anni, è stato dapprima sedato con una forte dose di farmaci, poi soffocato con un cordino. Solo dopo la morte, si è passati al sezionamento del corpo, smembrato in tre parti e abbandonato in un bidone, cosparso di calce viva per tentare di camuffare il fetore della decomposizione. La freddezza con cui la madre – dopo l’omicidio – sarebbe tornata come nulla fosse al lavoro fino al 30 luglio, mentre Mailyn continuava a portare a passeggio la loro bambina di soli sei mesi, dà la misura di una lucida e spietata determinazione.
Una foto sorridente di Alessandro Venier
Gli investigatori – nonostante l’assenza di macchie di sangue evidenti – non escludono che l’abitazione sia stata scrupolosamente ripulita per eliminare ogni traccia. Il bidone stesso è stato rimosso dai Vigili del Fuoco e affidato all’istituto di medicina legale per l’autopsia, che dovrà ora chiarire ogni dettaglio dell’agonia della vittima. Le domande che questo omicidio lascia dietro di sé sono brucianti e, almeno per ora, prive di risposte univoche. Da tempo, nella famiglia Venier montavano dissapori e sospetti di violenze domestiche. C’è chi sussurra che ad avvelenare l’aria siano stati rancori sopiti, paure, forse l’ombra di affari mai chiariti. Pare che Alessandro, privo di lavoro fisso e dedito a piccoli commerci di materiale militare recuperato nelle campagne friulane, progettasse da tempo di trasferirsi in Colombia, patria della compagna e teatro di nuovi inizi con “una casetta nel bosco, un fazzoletto di terra”, almeno nelle sue aspirazioni.
A ostacolare questo sogno sarebbe stato proprio l’opposizione della madre e della stessa Mailyn, restie a seguirlo in Sud America, preoccupate anche per il futuro della neonata. Un groviglio di affetti, dipendenze emotive e paure che, invece di sciogliersi, si sono serrati a doppio nodo attorno al destino di Alessandro. Ora la giustizia dovrà scandagliare fino in fondo quella che appare come una tragedia della follia affettiva e dell’isolamento emotivo, col rischio che i confini tra il carnefice e la vittima si facciano più labili. Nella villetta di Tobaga, in quel bidone chiuso tra le mura di Gemona, si sono sepolti giorni, tensioni e segreti che mai nessun processo restituirà intatti.
Un altro momento del sopralluogo nella villetta dell'orrore (Foto Lapresse)
Non ci sono parole abbastanza dure per una storia del genere, né veli pietosi capaci di proteggerci dalla domanda che rimbomba sotto la superficie: quante altre verità taciute si celano dietro le mura di una normale casa di provincia? E soprattutto, chi mai potrà restituire l’innocenza – ormai spezzata – di una bambina di sei mesi, ora affidata ai servizi sociali e ferita fin dall’inizio della vita da un dolore troppo grande perché il tempo possa cancellarlo?
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