Il caso
L'ortofrutta italiana sempre più in difficoltà (foto di archivio)
L'Italia, storicamente riconosciuta come uno dei principali produttori ed esportatori di frutta e verdura in Europa, si trova oggi di fronte a un paradosso agricolo: per la prima volta in oltre trent'anni, il valore delle importazioni di ortofrutta fresca ha superato quello delle esportazioni. Secondo l'Osservatorio Coldiretti, nel 2024 le esportazioni hanno raggiunto un valore record di 6,1 miliardi di euro (+9%), ma le importazioni sono salite a 6,4 miliardi (+12%), con un incremento del 14% in volume, superando i 5 miliardi di chili di prodotti importati.
Esempi emblematici: uva dall'India, pomodori dall'Olanda, cipolle dal Sudafrica. Tra i prodotti maggiormente importati figurano le patate (+39%), i piselli (+20%), i fagioli (+9%), la lattuga (+5%), le pere (+15%), le pesche nettarine (+74%) e i kiwi (+23%). È emblematico il caso dell'uva da tavola proveniente dall'India, dei pomodori importati dall'Olanda e delle cipolle sudafricane, che arrivano in Italia nonostante la produzione nazionale di questi stessi prodotti.
Le ragioni di questa inversione di tendenza sono molteplici. Il cambiamento climatico ha colpito duramente l'agricoltura italiana, con eventi estremi come siccità e alluvioni che hanno ridotto la produttività. Inoltre, l'aumento dei costi di produzione, in particolare dell'energia, ha reso meno competitivi i prodotti italiani rispetto a quelli esteri. A ciò si aggiunge la concorrenza di Paesi che utilizzano pesticidi vietati in Europa e manodopera a basso costo, creando una situazione di dumping sociale e ambientale. Un altro aspetto preoccupante riguarda la sicurezza alimentare. Nel 2024, gli allarmi su frutta e verdura importata sono aumentati del 30%, con 165 segnalazioni per la presenza di pesticidi vietati, aflatossine, metalli pesanti e batteri. Questi dati evidenziano la necessità di applicare il principio di reciprocità negli scambi commerciali, garantendo che i prodotti importati rispettino gli stessi standard di sicurezza e qualità richiesti ai produttori italiani.
Importiamo 6.4 miliardi di frutta e verdura
Paradossalmente, mentre aumentano le importazioni, i consumi di ortofrutta in Italia sono in calo. Secondo il Rapporto Internazionale Waste Watcher 2024, ogni italiano consuma meno di 300 grammi di frutta e verdura al giorno, al di sotto dei 400 grammi raccomandati dall'Organizzazione Mondiale della Sanità. Contemporaneamente, lo spreco alimentare è in aumento, con oltre 680 grammi di cibo buttato a settimana per persona, principalmente proprio frutta e verdura.
E' possibile affrontare questa situazione? Aumentare il consumo di frutta e verdura e magari quella prodotta dai nostri agricoltori? Coldiretti propone misure decise come l'applicazione del principio di reciprocità nei trattati commerciali, l'armonizzazione delle regole sull'uso dei fitofarmaci e incentivi alla ricerca e all'adozione di nuove tecnologie agricole. Inoltre, è fondamentale promuovere il consumo di prodotti locali e di stagione, sostenendo le aziende agricole italiane e garantendo ai consumatori alimenti sicuri e di qualità. Il paradosso dell'ortofrutta italiana evidenzia la necessità di un ripensamento delle politiche agricole e commerciali, per tutelare un settore che rappresenta una parte significativa dell'economia nazionale e della tradizione alimentare del Paese. Un Paese che deve ancora capire come e cosa si mangia.
Il paradosso dell’ortofrutta italiana non è solo economico, ma anche sistemico: riflette una globalizzazione agricola che ha reso le filiere del cibo sempre più lunghe, complesse e spesso illogiche. Come può convenire importare uva dall’India o cipolle dal Sudafrica in un Paese che è storicamente uno dei principali produttori europei di questi stessi alimenti? Alla base di questo fenomeno c’è una logica di mercato iper-globalizzata, in cui il prezzo al ribasso prevale su ogni altra considerazione: qualità, sostenibilità, etica. In molti casi, la differenza di costo è determinata da condizioni produttive molto diverse sopra citate: manodopera sottopagata, uso di fitofarmaci proibiti in Europa, regolamentazioni ambientali più blande. Questo consente a produttori extra-UE di offrire prezzi estremamente competitivi, a scapito di chi produce secondo le regole europee, più rigorose e costose.
Tutte le settimane un italiano butta via 680 grammi di cibo, soprattutto frutta e verura
Il risultato è una distorsione della concorrenza e della logica di filiera. I supermercati e i grandi distributori, alla ricerca del margine massimo, premiano questi prodotti, contribuendo a ridurre lo spazio di mercato per l’ortofrutta italiana. Anche il trasporto globale a basso costo – sostenuto per anni da politiche fiscali e incentivi ai carburanti – ha reso economicamente "razionale" importare prodotti da migliaia di chilometri, nonostante l’assurdità ambientale che questo comporta. Un sistema che penalizza i produttori locali, inquina di più, e disconnette il consumatore dalla stagionalità e dalla territorialità del cibo. Ristabilire una filiera più corta e trasparente non è solo una questione economica, ma un atto di riequilibrio ecologico e sociale. Favorire l’agricoltura locale, sostenere i mercati contadini, puntare sulla tracciabilità sono azioni concrete per contrastare queste distorsioni e ricostruire un rapporto più sano tra chi produce e chi consuma.
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