Sabato 06 Settembre 2025

QUOTIDIANO DI INFORMAZIONE INDIPENDENTE

DIRETTORE
SERGIO CASAGRANDE

×
NEWSLETTER Iscriviti ora

La testimonianza

Mauro Bellachioma: "Grazie al Corriere scelsi la carriera di giornalista e non di dj. Quella volta che volevano arrestarmi"

Il primo cronista assunto, era il 1985: "Mio padre in tono burbero ma sincero mi chiese ..."

11 Febbraio 2025, 13:54

Mauro Bellachioma

Mauro Bellachioma, storico giornalista del Corriere

Era il 1985, un anno che avrebbe cambiato per sempre il mio destino. Fu allora che il Corriere di Arezzo, neonato quotidiano locale, aprì i battenti come filiazione del Corriere dell’Umbria, fondato solo due anni prima a Perugia. Un progetto ambizioso, un’opportunità unica, e io, giovane cronista, fui il primo assunto grazie alla collaborazione tra il Corriere e Teletruria, la tv locale diretta da Gianfranco Duranti, per la quale lavoravo da dieci anni. All’epoca Arezzo contava un solo quotidiano, La Nazione, e il Corriere arrivava a colmare un vuoto importante nell’informazione locale. Fu un inizio entusiasmante ma non facile. Ricordo bene i primi mesi: il lavoro era impegnativo, ma la passione per questo mestiere mi dava una carica straordinaria.

Per me, il Corriere di Arezzo non era solo un giornale: rappresentava la speranza di realizzare un sogno che mi portavo dentro da quando ero ragazzo, quello di diventare giornalista professionista. Non era un traguardo semplice. Dopo anni come redattore a Teletruria e collaboratore per il quotidiano La Repubblica, finalmente nel 1985 iniziai il praticantato, che durava 18 mesi. Allora, ad Arezzo, i professionisti si contavano sulle dita di una mano (ce n’erano solo tre e tutti dipendenti de La Nazione: Giuseppe Dragoni, Carlo Dissennati e Mario D’Ascoli) e anch’io ambivo a diventarlo.


Mauro Bellachioma preso dall'attività di dj


Superai l’esame di idoneità professionale a Roma: prima la prova scritta e poi l’orale, davanti a una commissione composta da magistrati e giornalisti. E il 20 gennaio 1987, quando mi fu conferito il titolo di giornalista professionista, sentii di aver vinto la mia battaglia. Finalmente ero parte di una categoria che ammiravo, e a breve anche i miei colleghi della redazione, come Ivo Brocchi, Romano Salvi, Laura Pugliesi, Grazia Buscaglia, Paola Vannelli e Luigi Alberti, ottennero il medesimo riconoscimento. Poco dopo fu la volta di Luca Serafini e Sonia Fardelli.

Il Corriere di Arezzo - affettuosamente soprannominato dai lettori il “Corrierino” - iniziava a farsi strada. Con il sostegno del direttore Giulio Mastroianni, proveniente da Repubblica, e del vice direttore Paolo Farneti, ex Avvenire, conquistavamo lettori giorno dopo giorno. Uno dei momenti chiave per il Corriere fu l’arrivo in redazione di una figura di grande spessore, Federico Fioravanti, destinato a diventare qualche anno più tardi direttore responsabile di tutte le testate del Gruppo. Grazie anche a lui, il “Corrierino” spiccò il volo, consolidando la sua presenza nel panorama giornalistico aretino. Ricordo ancora il piacere di trovare tutti i giorni il nostro quotidiano nei bar e nei luoghi più frequentati della città.

Essere diventato professionista rappresentava per me il coronamento di un lungo percorso iniziato tra sacrifici e passioni. Fin da ragazzo, con la smania di fare qualcosa per non essere totalmente a carico dei miei, oltre allo studio, mi ero arrangiato con piccoli lavori, inseguendo due grandi amori: il giornalismo, appunto, e la musica. Negli Anni Settanta, con il boom delle emittenti radiofoniche private, avevo trovato spazio come conduttore a Radio Pietramala.


Mauro Bellachioma con i colleghi Romano Salvi e Ivo Brocchi

Da lì, il salto alle consolle delle discoteche aretine fu breve, e presto mi ritrovai a fare il dj anche in locali di varie zone balneari dello Stivale. Tuttavia, quel contrasto tra la vita del disk jockey e il rigore del cronista era stridente, almeno per mio padre. Che un giorno, in tono burbero ma sincero, mi chiese: “Ma da grande, cosa vuoi fare? Il bischero (fare il dj, secondo lui) o il giornalista?”. Quelle parole mi fecero riflettere, e alla fine optai per il percorso che mi ha portato fin qui. Non me ne sono pentito.

Oggi, guardando indietro, vedo un viaggio straordinario, fatto di dedizione, tenacia e crescita personale. Il Corriere di Arezzo non è stato solo una sfida professionale, ma una parte fondamentale della mia vita. A quarant’anni dalla sua nascita, posso dire con orgoglio di aver contribuito a scrivere una piccola pagina della sua storia. Ho avuto il privilegio di fare il mestiere più bello del mondo, anche affrontando momenti difficili e prendendo decisioni cariche di responsabilità. Mi sono occupato principalmente di cronaca nera e giudiziaria, quel ramo del giornalismo che spesso vive di scoop, cioè le notizie capaci di finire in prima pagina e in locandina perché gli altri organi d’informazione non le hanno. Un lavoro che richiede costanza, serietà, libertà di pensiero e tutela delle fonti.

Tra i tanti episodi che ho vissuto, ce n’è uno che mi porto ancora dentro. Scrissi di un grave sopruso subìto da un personaggio aretino, una notizia che non piacque a molti. Il giorno dopo fui convocato in Procura, insieme alla collega Pugliesi, e il pubblico ministero cercò in ogni modo di farmi rivelare il nome di chi mi avesse fornito quell’informazione. Fece persino arrivare un cellulare dei carabinieri sotto il palazzo di giustizia, dicendomi: “Bellachioma, è pronto per lei. O parla, o la mando nel carcere mandamentale di Poppi”. Per un giornalista di cronaca nera, finire dietro le sbarre significa ritrovarsi faccia a faccia con coloro che hai raccontato, spesso con verità scomode. Avevo paura, non lo nego, ma non cedetti: “Lei sa che non parlerò - risposi al Pm -. La riservatezza delle fonti è un principio che devo rispettare”. Alla fine non andai in carcere, ma fui rinviato a giudizio per direttissima. Durante il processo in tribunale, il capo d’imputazione venne derubricato e la vicenda passò alla pretura dove si concluse grazie all’amnistia e all’indulto del 1990.

Quel giorno, opponendomi con fermezza alla richiesta del magistrato, ho dimostrato, prima di tutto a me stesso, che il giornalismo è qualcosa che ami a tal punto da mettere in gioco la tua libertà. E oggi, dopo tanti anni, sono certo che rifarei la stessa scelta. Perché questo mestiere non è solo un lavoro, è una missione. E, se lo fai con abnegazione e coraggio, ti permette di lasciare un segno che va oltre le pagine di un giornale. Buon anniversario Corriere, che tu possa continuare a essere la voce di chi sogna, riflette, crea.

Newsletter Iscriviti ora
Riceverai gratuitamente via email le nostre ultime notizie per rimanere sempre aggiornato

*Iscrivendoti alla newsletter dichiari di aver letto e accettato le nostre Privacy Policy

Aggiorna le preferenze sui cookie