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La storia

Annamaria Franzoni e il delitto di Cogne, dopo 20 anni resta il mistero. Perché uccise il piccolo Samuele colpito senza pietà?

Giuseppe Silvestri

13 Aprile 2025, 21:07

Annamaria Franzoni e Stefano Lorenzi

Annamaria Franzoni e il marito Stefano Lorenzi in una puntata di Porta a Porta

Il delitto di Cogne (30 gennaio 2002) nella tranquilla frazione di Montroz in Valle d'Aosta, rimane una ferita aperta nella cronaca nera italiana. L'omicidio del piccolo Samuele Lorenzi, di soli tre anni, sconvolse l'opinione pubblica e catalizzò un'intensa attenzione mediatica. Al centro di questa tragica vicenda, fin da subito, vi fu la figura della madre del piccolo, Annamaria Franzoni, alla fine condannata in via definitiva per l'omicidio del figlio.

La mattina del 30 gennaio 2002, alle ore 8:28, il centralino del 118 della Valle d'Aosta ricevette una telefonata da Annamaria Franzoni, che chiedeva soccorsi sanitari riferendo di aver trovato il figlio Samuele che "vomitava sangue" nel suo letto. Franzoni raccontò di aver lasciato il piccolo solo per un breve periodo per accompagnare il figlio maggiore alla fermata dello scuolabus, e di aver trovato Samuele in quelle condizioni al suo ritorno. Tuttavia, la successiva scoperta di tracce di sangue e materia cerebrale sul pigiama e sulle ciabatte indossate dalla donna prima di uscire di casa, smentì questa prima ricostruzione.

L'accusa dimostrò che l'omicidio avvenne mentre la madre era in casa in pigiama. L'autopsia stabilì che la morte del bambino fu causata da almeno diciassette colpi sferrati con un corpo contundente, mai ritrovato, sebbene fossero state rinvenute microtracce di rame sul capo della vittima, facendo supporre l'uso di un mestolo ornamentale o oggetti simili. Le indagini e i processi furono lunghi e complessi. In primo grado, nel 2004, Annamaria Franzoni fu condannata a 30 anni di reclusione. La difesa, nel corso del tempo affidata a diversi avvocati tra cui Carlo Taormina, tentò di smontare il quadro indiziario. In appello, nel 2007, la pena fu ridotta a 16 anni con la concessione delle attenuanti generiche. La Corte Suprema di Cassazione, nel 2008, confermò la sentenza d'appello, rendendo definitiva la condanna.

Annamaria Franzoni è nata a San Benedetto Val di Sambro (in provincia di Bologna) il 23 agosto 1971 ed era coniugata con Stefano Lorenzi, perito elettrotecnico. La coppia ha avuto tre figli: Davide (nato nel 1995), Samuele (nato nel 1998 e vittima del delitto) e Gioele (nato nel 2003, dopo la morte di Samuele). Fin dall'inizio, Franzoni fu individuata come la principale sospettata e fu sottoposta a rilievi psicologici e psichiatrici. Gli esperti le attribuirono una personalità affetta da nevrosi isterica, incline alla teatralità e alla simulazione, con difficoltà nell'elaborare le problematiche quotidiane. Sembra che, con la nascita del secondo figlio, Samuele, avesse manifestato stress e difficoltà nella gestione della casa e dei due bambini, sebbene non fosse mai stata accertata una vera e propria depressione post-partum. Per queste difficoltà, si era rivolta al medico di famiglia, ottenendo la prescrizione di un blando antidepressivo che, tuttavia, pare non aver mai utilizzato.

Una delle ipotesi più discusse riguardo al delitto è quella dell'amnesia dissociativa. Alcune perizie psichiatriche suggerirono che Franzoni potesse aver rimosso il ricordo dell'omicidio dalla sua memoria, pur essendo colpevole. Si ipotizzò che, in un momento di forte stress o a seguito del pianto del bambino, la donna potesse aver agito impulsivamente, per poi non ricordare l'accaduto. Alcuni criminologi hanno anche avanzato l'ipotesi del red out, una condizione di rabbia estrema associata ad amnesia dissociativa, caratterizzata da una lacuna di memoria nel momento specifico dell'aggressione.

Il comportamento di Annamaria Franzoni dopo il delitto suscitò ulteriori sospetti. Le sue numerose apparizioni televisive, le incongruenze nelle sue dichiarazioni e il suo insistente tentativo di indicare vicini di casa come veri assassini, salvo poi essere denunciata e condannata per calunnia nei confronti di uno di essi, Ulisse Guichardaz, alimentarono il dibattito pubblico sulla sua colpevolezza. Particolarmente controversa fu la sua reazione emotiva durante le interviste, culminata nella frase Ho pianto troppo? una volta spente le telecamere. Inoltre, mentre il figlio veniva trasportato in ospedale, Franzoni chiese insistentemente al marito di avere un altro figlio.

Dopo la condanna definitiva, Annamaria Franzoni scontò parte della sua pena in carcere. Tuttavia, beneficiò di riduzioni di pena per indulto e buona condotta, portando i 16 anni iniziali a meno di 11. Nel giugno del 2014, dopo 6 anni di detenzione, ottenne gli arresti domiciliari grazie a una perizia psichiatrica che escluse il rischio di recidiva. Inizialmente, il regime di detenzione domiciliare le impediva di tornare a Cogne. Nel settembre 2018, Annamaria Franzoni è tornata una donna definitivamente libera. La notizia della fine pena divenne di dominio pubblico il 7 febbraio 2019.

Nonostante la libertà, il passato continua a perseguitare Annamaria Franzoni. Oltre alla condanna per omicidio, nel 2011 fu condannata in primo grado per calunnia nei confronti di Ulisse Guichardaz, il vicino che aveva accusato ingiustamente. Questo reato fu poi dichiarato prescritto in appello nel 2014. Inoltre, Franzoni fu coinvolta in una disputa legale con il suo ex avvocato, Carlo Taormina, per il mancato pagamento della parcella professionale, culminata in una condanna a risarcirlo.

Il caso del delitto di Cogne ha profondamente segnato la società italiana, dividendo l'opinione pubblica tra innocentisti e colpevolisti. Ancora oggi, a distanza di oltre vent'anni, il delitto di Cogne rimane un caso emblematico, un intreccio di dinamiche familiari oscure, fragilità psicologiche e un clamore mediatico che ha reso difficile distinguere la verità processuale dalla percezione pubblica. La scarcerazione di Annamaria Franzoni ha riaperto inevitabilmente interrogativi su un dramma che ha scosso le fondamenta della cronaca nera italiana e sul quale permangono ancora zone d'ombra. La famiglia oggi vive e lavora in Emilia Romagna, dove gestisce un agriturismo. La casa del delitto è diventata quella delle vacanze.

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